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giovedì 16 gennaio 2014

Due riflessioni di Massimo Gramellini


15/01/2014 - La leghitudine di Massimo Gramellini
Il giornale della Lega additerà quotidianamente gli appuntamenti pubblici della ministra Kyenge, accusata dai pensatori fosforici del movimento di «favorire la negritudine». Probabile che si tratti di una forma di istigazione. Di sicuro ha tutta l’aria di una sciocchezza. L’ennesima. La Lega rappresenta la prova plastica di come l’assenza di cultura possa distruggere un’intuizione a suo modo geniale, quale fu trent’anni fa quella di dare voce ai ceti tartassati del Nord. In mano a una classe dirigente preparata o appena normale, l’idea avrebbe attirato le migliori energie del lavoro e dell’università per costruire un federalismo fiscale moderno.

Con i Bossi, i Borghezio, gli Speroni e adesso i Salvini si è invece scelta la strada becera, antistorica e per fortuna minoritaria del razzismo secessionista. Gli attacchi a Roma ladrona si sono illanguiditi con l’aumentare dei privilegi e dei denari pubblici, in un tourbillon di mutande verdi e lauree prepagate. Sono rimasti in piedi soltanto i simboli grotteschi e i luoghi comuni. L’odio per l’euro, i terun, i negher, la diversità e la complessità di un mondo nuovo che non si lascia esplorare dalle scorciatoie del pensiero. La scelta suicida della Lega ha favorito gli umoristi, ma non i leghisti e i settentrionali, che oggi contano meno di trent’anni fa, nonostante le loro tre regioni più grandi siano governate, si fa per dire, da esponenti di quel partito. Con la forza barbarica si potrà forse andare al potere, ma per restarci con qualche costrutto è sempre consigliabile aggiungere alla pancia un po’ di cuore, e magari anche di testa.

16/01/2014 - Intanto paga lei di Massimo Gramellini
Chiedo scusa se sono ancora costretto a occuparmi del gossipon de la semaine, ma i cugini francesi hanno un senso della parità tra i sessi abbastanza curioso e non molto dissimile dal nostro. Ieri il ministro (donna) della Cultura ha revocato la nomina dell’attrice e produttrice Julie Gayet in una importante giuria dell’Accademia di Francia a Roma. Come noi portinaie sappiamo fin troppo bene, Julie Gayet risulterebbe essere una conoscenza particolarmente intima dell’ineffabile presidente Hollande. Ora, delle due l’una. O Gayet è stata silurata all’improvviso non per i suoi demeriti, ma in quanto potenziale creatrice di imbarazzo al Budino in Capo. Oppure era stata precedentemente scelta non per i suoi meriti, ma proprio perché raccomandata dal Budino medesimo. Naturalmente in Italia ci saremmo comportati allo stesso modo, con in più una cresta sulle ricevute. La differenza è che nell’abbassare lo sguardo sulle nostre miserie i maestri francesi avrebbero scosso la testa con un sogghigno di compatimento. Mentre noi, che maestri non siamo, ma allievi ripetenti e impenitenti, ci limitiamo a prendere nota della valenza universale ed eterna del problema. Come nel 1814 e nel 1914, anche nell’evoluto 2014, quando due amanti vengono scoperti, il maschio viene fatto passare per uno stupido farfallone e la femmina per una mantide perversa. E alla fine è quasi sempre intorno alla mantide che si scavano deserti. Fuor di metafora: lui si pente e lei perde il posto

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